Il "gavettone".

Pubblicato da Bukaniere

Quest'anno ad ottobre il mio "pezzo di carta" festeggia le 11 primavere (che poi in realtà sarebbero autunni, visto che l'ho conseguito il 21 di ottobre del 1998). Sapevo già allora che la mia vita futura non sarebbe stata facile, che avrei dovuto affrontare una lunga "gavetta", ma neanche nelle mie più pessimistiche aspettative potevo immaginare che quella "gavetta" sarebbe stata un eterno, perpetuo "gavettone". Gavettone, non solo come accrescitivo ma proprio inteso come "doccia fredda ed inaspettata", quella di dover ricominciare sempre da capo. Il mio primo approccio col lavoro iniziò nel 1997 quando lo Stato decise che il mio anno di "naja" come "obiettore di coscienza", si sarebbe dovuto svolgere in un piccolo comune toscano a circa 500km da casa (senza tener conto che essendo laureando, avrei avuto il diritto di restare vicino casa per poter continuare a studiare). Comunque, andò che la prima domanda che mi fu posta dalla mia responsabile il primo giorno fu: "sai usare un PC?" E la mia risposta affermativa mi spalancò le porte del lavoro impiegatizio. A differenza dei miei compagni infatti, fui esonerato dai lavori "fisici" (accompagnare, accudire e assistere gli anziani o gli handicappati dei rispettivi centri) e destinato a quelli "di concetto" che consistevano nel: fotocopiare, scrivere lettere al computer, ordinare gli archivi. E per un anno più o meno, ho fotocopiato, scritto lettere, riordinato archivi. E poi, durante il mese di agosto, e visto che ero molto bravo e volenteroso, pensarono bene di affidarmi proprio l'ufficio protocollo del Comune (quello che smista la corrispondenza per intenderci) lasciato sguarnito da un impiegato infortunato, in dispregio di ogni legge e diritto. Lì diciamo, ho imparato a "lavorare" e come esperienza fu molto formativa: stando a contatto col pubblico, conobbi tutte le persone che "contavano" in quel comune e diventai "popolare" al punto che per strada non erano poche le macchine che "suonavano" non per chiedermi strada, ma come cenno di saluto. Essendo un napoletano che si dava molto da fare sul lavoro, ero per loro qualcosa di "strano" ed esotico, per cui riscuotevo parecchie simpatie. Finita la leva, terminai gli studi e mi dedicai alla ricerca del lavoro dei miei sogni: la pubblicità... Pensai - sbagliando - che un pò di esperienza nella mia città mi avrebbe aperto poi le porte del mondo del lavoro ovunque. La scelta di restare però fu poi obbligata dal fatto che mio padre si era ormai ammalato e la cosa fu scoperta solo quando lui era allo stadio terminale di quell'orribile malattia, ma questo sul curriculum non viene scritto. Trovai lavoro in una piccola agenzia pubblituttofare messa su da un mio coetaneo un pò più ignorante (aveva un diploma d'arte e della pubblicità aveva un'idea un pò raffazzonata e confusa ma grazie ai soldi ed ai contatti di famiglia, riusciva comunque a "camparci") ma molto capace in senso "imprenditoriale": aveva ben capito che le proprie "deficienze" potevano essere coperte abbondantemente dall'altrui sapere e capacità, salvo poi non restituire il corrispettivo dovuto, altro che con promesse da marinaio. In quell'agenzia - secondo lui - ero il "Direttore Marketing"... Titolo che serviva a blandirmi e farmi mandare giù i bocconi amari quando dovevo fare dieci ore al giorno, che comprendevano le mansioni più disparate: dal solito rispondere al telefono, alle solite fotocopie, alla gestione dei fornitori (ovvero trovare scuse perchè il "capo" era sempre restio a pagare!) incazzati... Ma poi ero anche grafico, facevo pianificazione marketing, copywriting e non ultimo, ero un decente illustratore. Insomma, io ed il mio collega bravissimo nel fare i siti internet, reggevamo l'agenzia al punto di riuscire a far interessare al nostro lavoro un paio di agenzie del nord. Quei contatti che lasciai allo sfruttatore come eredità, gli sono valsi l'attuale successo al punto che qualche anno più tardi, lessi il suo nome in un inserto del Sole24Ore che annunciava il suo ingresso nel "gotha" dell'imprenditoria napoletana. Dopo di me, ovviamente, ci furono altri promettenti ed inesperti ragazzi che vendettero il proprio lavoro per nulla... Sì, proprio nulla: pensate che all'epoca mi dava 400mila lire (poco meno dei 200 euro di oggi) al mese... Con pause di tre o quattro mesi... E di certo quell'esperienza non faceva "curriculum". Decisi di lasciare il giorno in cui, dopo aver ricevuto l'incarico di tagliare una tonnellata di cartoncini, il capo osò pure cazziarmi perchè il lavoro non era di suo "gradimento". Avevo imparato sulla mia pelle cos'era il mobbing: avevo creduto di aver lasciato io il lavoro, ma in realtà fui cacciato via perchè ormai ero solo un peso e perchè le promesse ricevute non potevano essere mantenute. Vennero poi giorni difficili per me nei quali non trovavo nulla... Provai ad andare a Milano passato un anno dopo la morte di mio padre, ma ormai avevo trent'anni compiuti.

A Milano salii per l'opportunità offertami da Pino Pilla: il mitico Copy di "Silenzio, parla Agnesi"
e cofondatore della LM&A, aveva letto la mia bella (a suo dire) lettera di presentazione, nella quale descrivevo i Cv che mandavo alle agenzie come "alberi che rumorosamente cadono inascoltati nel silenzio di una foresta disabitata," e mi invitò alla Lorenzo Marini & Associati per un colloquio. Lì mi sentii come Alice nel paese delle meraviglie! Un'agenzia fantastica sita in un meraviglioso loft sui navigli, dove ogni dettaglio, persino il vassoio con i bicchieri, erano studiati da un architetto. La sala riunioni era spartana ma molto bella e luminosa, nonostante fosse l'ottobre di una Milano molto piovosa. Mi ricordava un castello dove nella sala, un antico tavolo medievale era affollato da cavalieri seduti ai lati ad ascoltare il Re a capotavola che impartiva le direttive per la guerra. Quel "Re" era Lorenzo Marini, uno dei pionieri della moderna pubblicità italiana e del quale avevo letto tutti i libri. Pilla mi invitò a sedere, guardò il mio book (che avevo preparato alla scuola di illustrazione che avevo fatto a Napoli) ma seppur bene impressionato dal mio entusiasmo mi disse che avrei dovuto ancora fare molta strada per affinare il mio "istinto" creativo, solo che a trent'anni era ormai un pò difficile... Mi diede un pò di indirizzi di suoi colleghi che forse mi avrebbero potuto prendere come stagista e mi congedò. Avevo pure un altro appuntamento, in un'altra grande agenzia milanese. Lì però trovai un uomo borioso (il direttore creativo), antipatico, che passò il tempo del colloquio non per dirmi cosa poteva andare bene di me e cosa non, ma a scoraggiarmi dicendomi sostanzialmente che alla mia età, potevo ormai andare bene come carne da "macello": mi sconsigliò di seguire i consigli di Pilla (evidentemente si era indispettito perchè aveva letto nei miei occhi e nei miei discorsi l'adorazione per quell'agenzia rivale) e di tornarmene o a casa, o di andare a Londra e New York per togliermi di dosso il provincialismo napoletano ed "assorbire" la vera "creatività" anglosassone. Ovviamente, viste le schifezze che passano nelle nostre tivù, direi che non tutti i creativi italiani avranno seguito questo percorso... Mah, forse io non ero abbastanza "eletto". La mia depressione - avevo vissuto 18 mesi con un padre ammalato e morente ed i successivi 12 con una madre disperata - mi fece propendere per l'ipotesi del fallimento e me ne tornai a casa con la morte nel cuore. Amici e parenti ovviamente mi martellavano: "sei laureato in economia e commercio, tu devi fare o il contabile o il venditore o lavorare in banca". "Mai" dissi io, "non sarò MAI nè un contabile, nè un venditore"... Ricominciai a stampare e spedire chili e chili di curriculum: ebbi risposta, anche grazie ad una mezza raccomandazione, da un'agenzia di software che cercava una figura non ben identificata a cavallo tra marketing, analisi e programmazione che era fornitrice di una nota, grande banca. Ma i colloqui che erano sembrati entusiasmanti (mi avevano scelto per una posizione nel marketing nella sede di Roma) non portarono a nulla. Per mesi fui rimbalzato al mese successivo, finchè non si aprì una "finestra" in una sede di una loro controllata a Napoli, però la posizione - a detta dello stesso selezionatore - era molto meno interessante per me. Accettai comunque: dovevo essere un analista-programmatore per convertire le procedure di una banca cliente nel progetto di "eurizzazione". I miei colleghi erano bravissimi con quei linguaggi arcaici (Pl2 e Cobol, molto simili al Basic che per fortuna avevo appreso all'età di 14 anni!) ma negati per la conversione delle formule in algoritmi. Io al contrario, invece non conoscevo bene le procedure sui vecchi terminali AS400 (per me fu una vera sopresa trovare delle macchine degli anni '80 con linguaggi degli anni '70, ancora operative nel 2001!). Il contratto era di tre mesi che scadevano a settembre del 2001 (avete presente l'11 settembre?), la paga "interessante" per gli standard dell'epoca... E poi l'ufficio era poco distante da casa, mezz'ora di autobus. Passai l'estate intera al lavoro, dopo un anno di disoccupazione nera. Solo che... La gavetta in quel caso si interruppe bruscamente. L'11 settembre coincise per l'ironia della sorte, con il giorno in cui ricevemmo la notizia che l'appalto con la banca era stato perso e che la nostra "task force" lì distaccata, si scioglieva. Ovviamente, io che non avevo contratto indeterminato - l'unico dei 4 - non potevo far altro che tornarmene a casa. Seguirono altri mesi di disperazione nera, di lettere stampate con i Cv ed email mandate a pioggia, ma con risposte pari allo zero. Allora... Tuti mi dicevano che io non trovavo lavoro per colpa mia: ero laureato in economia e perchè non facevo richiesta alle banche? E poi... Il master, mi mancava quel titolo, la laurea "semplice" non serviva a nulla senza specializzazione. Nella mia vita ho trovato parecchi, troppi "guru" della ricerca del lavoro, ma pochi mi hanno dato una mano concreta nel trovarlo. E così il giorno che da Stepstone mi arrivò una proposta un pò meno costosa delle altre per un master, presi la dura decisione e mi iscrissi al famigerato master in management bancario per il quale spesi quasi tutti i miei risparmi accumulati in quegli anni di sacrifici. Una volta finito lo stage a Bari, mandai curriculum a pioggia a tutte le banche, esclusa forse solo quella del seme, ma quelle poche che risposero, mi diedero cortesi rifiuti. Una addirittura si prese la briga di scrivermi un'astiosa lettera che mi intimava a non mandare più CV perchè loro selezionavano solo per pubblico concorso indetto tramite GU! La risposta più curiosa fu quella della banca europea di sviluppo che mi rispose dal Lussemburgo ed in francese che , al momento, non avevano selezioni del personale in vista. Era il 2003. L'unica a rispondermi positivamente, fu la banca-assicurazione di un noto gruppo veneto. Mi chiamarono per un colloquio di gruppo, cercavano promotori finanziari. Nel frattempo avevo iniziato a collaborare col mio cognato agente di commercio: avevo imparato con estrema difficoltà a "vendere", cosa che prima ritenevo impossibile per me. Ma tant'è... Nulla è impossibile se sei abbastanza "disperato". Solo che quella professione (e il mio fu un grosso, grossissimo errore di valutazione) mi stava stretta: mi sentivo di buttare via anni di studi per una cosa che avrei potuto fare col solo diploma, e così lasciai, perdendo un'occasione d'oro, perchè poi, quando sono tornato sui miei passi, l'azienda principale per cui lavoravo, non era più disponibile e con essa il 99% dei guadagni. Sognavo ancora nonostante le delusioni, di lavorare a Milano, sognavo di indossare almeno la giacca e la cravatta e sedere nel back-office di una banca, sognavo di avere uno stipendio, non altissimo, ma "decente". Quella del PF era un'altra di quelle professioni che aborrivo... Ma la "fame" di lavoro e le insistenze di mia madre e famiglia, mi costrinsero ad andare a quel colloquio. Ero scazzatissimo, sedevo di tre quarti intorno ad un tavolo rotondo, interessato più alla mia vicina di sedia che avevo conosciuto prima di entrare (la mia di allora ragazza mi aveva lasciato da poco più di un mese per l'ennesima ed ultima volta, perchè la "principessa" non poteva stare con un disoccupato, ed ero in cerca di "vendetta"), che a quello che mi dicevano i due manager. Toccò dopo la compilazione di un breve test, di fare una domanda a turno. Io che non sapevo proprio che chiedere, nè mi interessavo più di tanto, chiesi loro come sopravviveva un PF in un momento di crisi nera come era stato quello del 2001. Non so nè come, nè perchè, ma loro rimasero colpiti dalla mia domanda e mi riconvocarono per altri due colloqui, al terzo del quale fui ammesso a partecipare al loro "corso". Ah, la ragazza carina che avevo conosciuto, dopo un caffè e qualche telefonata, decise di tornare col suo ex, quindi a me non restò altro che il corso per diventare Promotore Finanziario. In realtà il corso era tenuto da una giovane ragazza che ci diede (eravamo stati scelti in due su dieci) un libro sul quale prepararsi. Dopo circa tre mesi di studio davvero intensivo, passai l'esame, inaspettatamente al primo colpo - la media dei colleghi era al meglio dei 5-6 tentativi - un esame davvero troppo difficile per quello che poi consentiva: dagli 800 candidati della prova scritta, fummo ammessi in meno di 30 circa dopo l'orale finale che comprendeva almeno 8 materie di quelle studiate all'università. Proprio il giorno dell'esame orale, venni "abbordato" da due talent-scout di una banca rivale. Avevo stranamente colpito anche la loro attenzione, forse perchè siccome me ne strafottevo quasi di tutto, ero andato rilassato e quindi avevo risposto brillantemente anche ai tranelli del famigerato professore di diritto commerciale, bestia nera di tutti i PF campani. Quelli della banca rivale, ottennero astutamente i miei dati e mi "corteggiarono" per più di un mese con un numero indicibile di mail e telefonate, nel frattempo che io aspettavo il mandato dall'altra banca. Cedetti alle lusinghe e firmai con loro, tradendo - da vero bastardo, ma sapevo che per far soldi in quel mondo si doveva esserlo - chi mi aveva formato. La gavetta anche lì fu dura: non avendo contatti con personalità che "contano", nè amicizie e parentele influenti, dovevo cercarmi i clienti telefonando le persone a casa. Una giornata di telefonate per me era più faticosa di una in miniera: non vi dico la quantità di insulti - giustificatissimi per carità - che ricevevo dalle povere persone prese nella loro vita privata, nei momenti meno adatti (chi stava subendo un infarto, chi aveva appena perso la madre e la stava vegliando, chi ce l'aveva con noi PF perchè un collega gli aveva fatto perdere tutti i risparmi, etc) e la percentuale di appuntamenti era meno del 3%... Figurarsi quella dei contratti firmati... ZERO TONDO, come il famoso conto della famosa banca. Dopo un anno e qualche mese, capii che quel lavoro non era per me. Ma ormai ero diventato troppo bravo come consulente, anche se con scarso successo concreto. Tutti i colleghi ormai chiedevano a me cosa consigliare ai clienti, perchè io - avendo molto tempo libero - ero quello sempre con l'occhio sui mercati. Ero bravo anche dal punto di vista amministrativo, tanto che anche se non venivo retribuito per quello, facevo anche un pò da segretario al mio capo. Quando ci fu l'avvicendamento di manager, quello uscente disse al nuovo: "se cerchi un assistente, lascia perdere le interinali, ci stà Francesco qua che è meglio di tutti, è un PF, è esperto di procedure, conosce i colleghi, prendi lui, ascolta il mio consiglio". Fu davvero uno dei pochi angeli conosciuti nel mondo del lavoro. Il nuovo capo invece era un vecchio stronzo all'antica, quello abituato a dettare le lettere ad una segretaria ed a disprezzare il lavoro di tutti e trattare i propri dipendenti come schiavi. Tuttavia era un pò intimorito dal fatto che io fossi competente e "titolato" e almeno si tratteneva un pò nei modi. I primi mesi furono duri: ero costantemente sotto esame, e le mansioni iniziali non erano proprio "esaltanti": telefono, fotocopie, archivio... Come sempre, come in tutti i lavori fatti fino ad allora, ma almeno, per stavolta avevo uno stipendio che mi sembrò più che decente: mille euro! Ma come nei peggiori incubi, cioè come durante tutta la mia carriera, le mansioni crebbero giorno per giorno per numero e responsabilità (arrivai a formare io i PF, a spiegare loro le procedure e la complicata compilazione dei moduli contrattuali e sino a fare io le interviste di lavoro per gli aspiranti) il mio stipendio decrebbe vertiginosamente. Il manager non aveva rispettato il bluff che aveva venduto alla banca come obiettivo e la banca, di tutta risposta, gli aveva tagliato emolumenti e contributi, compreso quello che lui girava a me come stipendio. Passati due anni, con lo stipendio meno che dimezzato, mi decisi a proporgli: stipendio part-time, lavoro part-time. Lui accettò con sollievo, perchè non sapeva come sbarazzarsi di me per tagliare la spesa, ma tuttavia gli facevo ancora comodo. Il giorno che entrò da noi un sessantaduenne ex agente assicurativo, mezzo rincoglionito, ma con una leggera conoscenza dei pc, trovò il modo per sostituirmi gratuitamente. Essì, perchè quel vecchietto mezzo rinco, che un giorno aveva diretto una ricca agenzia assicurativa, si scocciava di andare in pensione anche potendo, e preferiva fare lo schiavo al posto mio e gratis, piuttosto che starsene a casa! Davvero la dignità della gente, certe volte, stà sotto il livello dell'infimo. Era la metà di settembre ed il capo mi disse "Bukaniere, dal mese prossimo non posso più pagarti" e mi pagò le due settimane che avevo lavorato (5 euri compresi) senza un euro di più per liquidazione o semplice "ringraziamento" per il mio lavoro.

La mia unica soddisfazione fu che neanche un mese dopo, la banca chiese la sua testa e l'ufficio fu chiuso perchè improduttivo, certo non per colpa mia, ma perchè il suo bluff era ormai svelato del tutto.


L'unica soluzione a quel punto era pregare mio cognato di riprendermi con lui, ma ormai l'azienda per cui avevo lavorato, era presa da un altro collaboratore... C'erano rimaste solo le briciole, ma accettai lo stesso. Mi presentò dopo poco un altro suo collega e così, riuscimmo a mettere insieme tre o quattro aziende per le quali poter fare il subagente di commercio. Ma secondo voi... Quando ho iniziato quest'attività? Proprio quando è esplosa la crisi mondiale... L'anno scorso è stato disastroso dal punto di vista dei risultati.
Il caso però ha voluto che mia sorella quest'estate, poco prima delle vacanze, si recasse presso un CAF vicino casa di mia madre, lì sente che cercavano laureati in economia e mi candida... Vado al colloquio con una simpatica e napoletanissima imprenditrice napoletana, con tutti i pregi ed i difetti di una imprenditrice napoletana, ed accetto di iniziare un part-time... Per fare cosa, direte voi? Boh! Di tutto, di più: la sede è anche scuola di formazione per corsi di avviamento professionale, ma è anche e soprattutto un CAF... E quindi, potrei diventare un contabile! Quello che aborrivo di più da venti-trentenne, vendita e contabilità, sono ora i miei due lavori... E chissà come e se riuscirò a trarne qualcosa, finalmente, di concreto... Comunque, dal primo settembre, di nuovo, fotocopie, telefono, schedari da riordinare, sono il mio pane quotidiano... E chissà che un giorno non mi paghino persino per questo!

3 commenti:

Gattosolitario ha detto...

Beh, pagarti sarebbe il minimo! : )

rosanna ha detto...

Mi chiedo....ma, oggi come oggi, a tuo figlio consiglieresti di andare all'università o cercheresti di farlo andare subito a lavorare, anche fuori città? Io penso spesso che alle mie figlie dovrò consentirgli di studiare, fare carriera...etc etc..cosa che io non ho fatto. Ma poi mi rendo conto, guardando i miei amici e le mie amiche laureati, che forse non ne vale la pena. Tutta fatica e tempo sprecati. Mia sorella, laureata in psicologia e con una specialistica in neuroscienze, si ritrova ogni anno ad elemosinare un contratto di ricerca da 800 euro al mese, quando ci riesce, e se glielo rinnovano... Io invece, modesto 47 al diploma, fankazzista nata, dopo il diploma ho lasciato ben due facoltà (ingegneria e legge), ho fatto la commessa, l'estetista...l'agente di commercio ( e guadagnavo 3 volte quello ke guadagno oggi) e alla fine mi ritrovo, per mia fortuna, a lavorare per mio fratello, anche lui diplomato e non laureato, che ha avuto il coraggio di investire e di rischiare i 4 pidocchi messi da parte lavorando come contabile sottopagato e sottostimato, e mettere su due aziende, una delle quali viene gestita con molta tranquillità mentale da me...Ha ragione un mio amico che mi dice che sono nata con la camicia... Però voglio anche dire una cosa: io non avevo sogni nè particolari aspirazioni, ma quando invece si ha quacosa in cui si crede, non bisogna aspettare che il lavoro dei sogni ci scenda dal cielo. Bisogna buttarsi, rischiare sulla propria pelle, prima ovviamente che arrivino figli e responsabilità... Costruire il proprio futuro senza aspettare che siano gli altri a donarcelo. Io lavoro per mio fratello, e come fratello è uno di quelli generosi e buoni, ma il datore di lavoro è per antonomasia egoista e attento solo ai suoi numeri, al suo tornaconto, non se ne frega dei dipendenti. Se sognavi la pubblicità, se ancora la sogni, adoperati per fare in modo che sia quella la tua via, apri una tua agenzia senza paura. Chi ama ciò che fa fa grandi cose.

Bukaniere ha detto...

Mi sa che non hai letto bene il post, anzi, forse è che sintetizzare dieci anni di sbattimenti in poche righe (per quanto sia prolisso, sono sempre poche) è una impresa quasi impossibile.

Mai aspettato che il "lavoro dei sogni" cadesse dal cielo. Ho sempre e solo "buttato" il sangue per avere almeno il minimo di che vivere.

Il lavoro dei "sogni" è roba o d'altri tempi o per gente che non ha bisogno del lavoro per vivere.

La pubblicità è ormai un lontano ricordo.

A meno di non vincere i 150 milioni del Superenalotto ed aprirsi un proprio studio, il mondo dei pubblicitari è ermeticamente chiuso ed il cammino iniziatico prevede che tu sia molto giovane. A 30 anni, ero per loro già "vecchio".

Comunque non penso che avrò dei figli, nel caso, lascerò che seguano i propri sogni, sempre meglio che sentirsi degli ingranaggi rotti in una macchina grippata.

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